ANGELICA INTINI
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VALERIA VAVOOM

BENVENUTE in ABITARE IL CENTRO, una sezione di interviste in cui parlano in sorellanza persone che hanno fatto dell'arte fotografica - e non solo - il loro medium creativo.

Io sono Angelica Intini e oggi, con tutte noi, abiterà il centro Valeria Vavoom, artista che dà vita a fotografie che si muovono in un'area di confine tra il comico e il tragico, esorcizzando le esperienze di vita con un linguaggio visivo ironico, poetico e profondamente umano. Le sue immagini sono un'esplosione di colori, forme e emozioni, che catturano l'essenza della condizione umana in tutte le sue contraddizioni e complessità.

╱ ⭒ Dialoghiamo insieme ⭒ ╱

• In che modo l'arte, sia come processo creativo che come prodotto finale, può fungere da mezzo per esplorare e promuovere il concetto di "prendersi cura", sia in relazione all'artista che al pubblico?

Domanda complessa. Per rispondere inizierei col definire la parola in causa, cura, come interessamento verso qualcosa o mezzo di guarigione. Così descritto, mi pare che il concetto di cura troverebbe la sua applicazione ideale nel processo di ricerca artistica. Mi spiego meglio.
Ricercare significa reperire, trovare qualcosa di assente. Ciò che promuove una ricerca è dunque la presa di coscienza di qualcosa che manca, uno stato di inquietudine dato da un difetto.
L’artista avvia la sua ricerca con in mente un duplice fine, quello di guarire il vuoto percepito, e quello di avvicinarsi all’oggetto del suo desiderio. In questo processo, il ruolo della cura è quello di indirizzare la ricerca verso qualcosa e di prendersene cura, una volta trovato.
In breve, nella cura, in quanto interessamento attivo, risiedono la motivazione e il funzionamento della ricerca.
A mio avviso, il concetto di cura ci dice molto dell’artista, del suo stato di insofferenza e fame costante, della sua pratica come antidoto: ci dice soprattutto che l’indifferenza è nemica del fare arte. Spingendoci oltre, potremmo dire, citando Antonio Gramsci, che l’indifferenza è nemica della vita .



• Secondo te, come l'uso di maschere e travestimenti può influenzare la percezione dell'identità e della vulnerabilità del soggetto fotografato? Nella tua arte, in che modo questa scelta estetica riflette o sfida la relazione tra te e l'immagine che intendi proiettare di te stessa?

Inizio col dire che i personaggi che interpreto sono miei complici e antagonisti, mia enfasi e antitesi. Ciò che metto in scena non è mai Valeria, ma una sua distorsione: immagino il mio lavoro come un labirinto di specchi, dove è poco chiaro distinguere la fonte dal suo riflesso, la persona dalla figura. Le immagini che creo mi svelano proteggendomi, dicono qualcosa di me risparmiandomi da un’esposizione totale; sono anche la rappresentazione di una contraddizione, i portavoce di una critica.
Dal punto di vista pratico, la messa in scena di un personaggio è innanzitutto un gioco: il costume, la maschera, il trucco, sono alcuni dei mezzi attraverso cui delineo l’identità estetica di un personaggio e testo i limiti dello stereotipo e della caricatura.
Nel mio caso, la dimensione del gioco si dà nel pretend, nel “fare finta di”, il gioco che da bambini ci ha visto interpretare streghe, pirati e cavalieri impegnati in missioni immaginarie.
La mia pratica potrebbe essere dunque considerata come un’estensione di questo gioco, con l’aggiunta di maschere e costumi, capaci di dare al pretend una dimensione tridimensionale, servendosi ovviamente dell’ausilio del mezzo fotografico.


• In che misura l'autoritratto fotografico, come pratica che unisce l'intimità personale e la costruzione di un'immagine pubblica, può sfidare i concetti tradizionali di autenticità e realtà, considerando la capacità della fotografia di manipolare il tempo, lo spazio e l’identità?

Domanda difficile. In generale non penso che esista una rappresentazione più autentica di un’altra. Ammettere un’unica rappresentazione del reale equivarrebbe alla cancellazione delle differenze; in questo caso tutti dovremmo percepire il reale in egual modo. Eppure, così non accade in quanto la rappresentazione è legata all’esperienza individuale.
Sul piano fotografico, sono dell’opinione che non esista un genere più autentico di un altro; esistono invece registri stilistici diversi, modi altri di trattare l’immagine.
Personalmente, credo che l’artificio sia un mezzo di rappresentazione legittimo anche nel linguaggio fotografico; a chi sostiene il contrario affermando l’idea di una fotografia pura, devo rispondere che non si dà immagine senza sviluppo, sia nell’analogico che nel digitale.
Nei miei lavori, l’intervento sull’immagine mi aiuta a rendere l’idea di qualcosa, a ridurre o a dare enfasi. Lo faccio con un metodo non automatico ma artigianale, che ho faticosamente imparato dall’illustrazione. Di questo mondo ho adottato una visione senza gerarchie che oggi mi permette di combinare i vari elementi, il fantastico e il tangibile.



• Come la tua arte fotografica ti ha permesso di esplorare l'identità femminile e mettere in discussione le sovrastrutture sociali legate al tuo genere?

L’autoritratto mi permette di navigare nella memoria, di mettere in discussione i pregiudizi e le aspettative altrui.
Durante l’adolescenza, il giudizio degli altri ha attraversato il mio corpo e il mio genere, creando scontri e crepe. Ora, la lente fotografica mi dà la possibilità di rielaborare criticamente, di collegare i punti.
Ad esempio, la foto Loser (2019) nasce dal rovesciamento di un punto di vista capitalistico-performativo, che vuole l’individuo scattante, orientato alla carriera, di successo. Nell’immagine mi riapproprio del diritto di deviare questa traiettoria, di concedermi il fallimento; non nascondo l’errore, anzi lo evidenzio, glitter e brillantini illuminano la scritta Loser che porto sulla fronte.
E ancora: la foto Valeria Messalina (2024) nasce in risposta alla volontà di chi concepisce la donna nel solo ruolo di angelo del focolare; Valeria Messalina ci mostra infatti una figura femminile in contrapposizione a pudore e virtù. Baci ricoprono il suo volto, la posa è intenzionalmente lasciva.
In questa foto, metto in atto un’ulteriore operazione rispetto a Loser: attraverso il titolo dell’opera, chiamo in causa anche il giudizio negativo altrui.
Messalina è infatti un’espressione dispregiativa che significa “donna dissoluta e depravata”. Titolo e immagine creano un cortocircuito semantico; assistiamo infatti allo scontro tra una visione stereotipica che vuole la figura femminile posata ed eterea, e alla messa in scena del suo opposto: Valeria Messalina non chiede scusa per quello che è e desidera.


• Crei arte nella speranza di raggiungere un'opera finale e definitiva, o preferisci immaginare che quel momento non arriverà mai, perché sarebbe la fine del tuo viaggio interiore e della tua crescita creativa? (Chiara Dondi)

Mi diverto molto durante il processo creativo: è il tempo del gioco ma anche della possibilità, niente è ancora definitivo. La fine di un lavoro, al contrario, è un passo che tendo a procrastinare perché mi deprime: decine di immagini aspettano infatti che io le finalizzi.
Tendo a posticipare questo momento perché ho un problema con l’idea di chiusura, di fine; penso alle strade che non ho percorso, mi chiedo se ho fatto le scelte giuste. Alle volte questo atteggiamento, lo ammetto, è poco sano perché finisce col martoriare un’immagine. Di una fotografia, è importante non solo esplorarne le possibilità ma capirne anche i limiti e rispettarli di conseguenza.
In generale, tendo a pretendere un risultato da ciò che faccio, sia questo un insuccesso o il suo contrario. Ho bisogno di una prova tangibile del mio lavoro, qualcosa che mi dia le coordinate per capire dove intervenire in un secondo momento.



• Secondo te, la pratica fotografica, attraverso un processo di espressione libera e creativa, può stimolare la scoperta della "sé bambina"?

Più che di scoperta, nel mio caso parlerei di un felice rapporto di collaborazione tra chi sono oggi e chi ero ieri. Da bambina, amavo il teatro, stare sul palco, essere altro da me stessa. Il teatro per me era uno spazio sicuro, il palcoscenico ideale per il gioco del pretend di cui parlavamo prima. Pertanto, se la bambina che ero potessi vedermi, penso sarebbe molto felice: non mi occupo di teatro ma nei miei lavori l’aspetto performativo è essenziale e sempre presente.



• Mi piacerebbe che formulassi una domanda. Questa domanda verrà posta ad un'altra persona che sarà intervistata, per creare un legame invisibile fra tutte le interviste, fra tutte le storie.

Alla prossima artista vorrei chiedere: qual è il tuo punto di vista sull’impiego dell’intelligenza artificiale nella generazione di immagini?



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Valeria Secchi (in arte Valeria Vavoom) nasce a Sassari, dove si laurea in Filosofia con una tesi sulla definizione ontologica dell’opera d’arte nelle filosofie di Arthur Danto e Platone. Successivamente, prosegue la sua formazione artistica al Berlin Art Institute (Berlino, Germania), dove ha la possibilità di conoscere la scena artistica locale ed internazionale. Espone i suoi primi progetti in Sardegna, per poi collaborare con spazi e curatori nel resto d’Italia ed Europa. Nel 2020 Valeria si trasferisce a Berlino, dove continua a collaborare con curatori e associazioni culturali internazionali. Il suo lavoro è stato esposto al Liquida Photo Festival(Torino, 2024), al Tartu Kunstimaja (Estonia, 2024) e alla Fotogalerie Friedrichshain (Berlino,2022), oltre a essere incluso in pubblicazioni come Il Corpo Solitario vol. III di G. Bonomie 222 ARTISTI EMERGENTI SU CUI INVESTIRE EDIZIONE 2021, di C. Selvaggi, e S. Conta, edito da Exibart. Nel corso della sua attività artistica, ha ricevuto premi come l’APULIA PRIZE (2021) e il BEST 15 PRIZE alla Paratissima Art Fair (2019). Parallelamente, conduce workshop e seminari su arti visive e filosofia. Nel 2024 l’opera La castigata viene scelta come cover art per il libro di V. Montebello Succede di notte edito da Feltrinelli. Con riferimenti al fumetto e all’animazione, alla cultura pop e cinematografica, Valeria crea dei personaggi in tensione tra comico e tragico, in conflitto con un modello dominante, sia esso estetico, politico, sociale.
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Valeria Secchi (in arte Valeria Vavoom) nasce a Sassari, dove si laurea in Filosofia con una tesi sulla definizione ontologica dell’opera d’arte nelle filosofie di Arthur Danto e Platone. Successivamente, prosegue la sua formazione artistica al Berlin Art Institute (Berlino, Germania), dove ha la possibilità di conoscere la scena artistica locale ed internazionale. Espone i suoi primi progetti in Sardegna, per poi collaborare con spazi e curatori nel resto d’Italia ed Europa. Nel 2020 Valeria si trasferisce a Berlino, dove continua a collaborare con curatori e associazioni culturali internazionali. Il suo lavoro è stato esposto al Liquida Photo Festival(Torino, 2024), al Tartu Kunstimaja (Estonia, 2024) e alla Fotogalerie Friedrichshain (Berlino,2022), oltre a essere incluso in pubblicazioni come Il Corpo Solitario vol. III di G. Bonomie 222 ARTISTI EMERGENTI SU CUI INVESTIRE EDIZIONE 2021, di C. Selvaggi, e S. Conta, edito da Exibart. Nel corso della sua attività artistica, ha ricevuto premi come l’APULIA PRIZE (2021) e il BEST 15 PRIZE alla Paratissima Art Fair (2019). Parallelamente, conduce workshop e seminari su arti visive e filosofia. Nel 2024 l’opera La castigata viene scelta come cover art per il libro di V. Montebello Succede di notte edito da Feltrinelli. Con riferimenti al fumetto e all’animazione, alla cultura pop e cinematografica, Valeria crea dei personaggi in tensione tra comico e tragico, in conflitto con un modello dominante, sia esso estetico, politico, sociale.
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