ANGELICA INTINI
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SOFIA USLENGHI

BENVENUTE in ABITARE IL CENTRO, una sezione di interviste in cui parlano in sorellanza persone che hanno fatto dell'arte fotografica - e non solo - il loro medium creativo.

Io sono Angelica Intini e oggi, con tutte noi, abiterà il centro SOFIA USLENGHI fotografa che, attraverso i suoi autoritratti, ha indagato con sensibilità e intensità le parti più intime di sé, trasformandole in un linguaggio visivo capace di comunicare profondamente e coinvolgere la persona spettatrice.

╱ ⭒ Dialoghiamo insieme ⭒ ╱


• Come hanno influito su di te le dinamiche socioeconomiche, culturali e psicologiche
nel processo di adattamento durante i tuoi trasferimenti in diverse città, considerando le sfide legate alla costruzione di una rete di supporto, al cambiamento delle identità locali e alla difficoltà di mantenere un equilibrio tra le aspirazioni personali e le necessità imposte dalle diverse realtà urbane?



Bellissima domanda, avessi una risposta avrei la chiave della mia vita!
Partendo dal fatto che credo di essere di indole una persona che ha bisogno di cambiare, evolvere, nutrirsi di stimoli diversi, affrontare le fasi della vita ribaltando le condizioni attorno a me, temo di non avere pace e di non sapere STARE. L’ultimo cambiamento che ho deciso credo sia piuttosto drastico, da Milano a Locri, in Calabria. Talmente drastico che ovviamente ne avevo sottovalutato alcuni aspetti: quello sociale in primis. Senza addentrarmi troppo nelle dinamiche culturali di una comunità piccola, come quella in cui sto vivendo, è interessante tanto quanto faticoso riuscire a trovare un equilibrio personale, una propria identità che non cambia anche quando cambia il contesto.
Per adesso giungo alla conclusione temporanea che un luogo perfetto non esiste e dipende molto da quali sono le priorità, a cosa mi sento di rinunciare adesso a favore di qualcos’altro. Ho lasciato Milano perché non credo di essere sufficientemente competitiva, né sufficientemente furba. Mi sembrava di aver messo una maschera di divertimento, coinvolta nelle mille attività - anche interessanti, spesso fuffa. Forse la delusione più grande è stata quella di non aver trovato una rete, specie in ambito artistico, ma una socialità molto condizionata dall’utilitarismo a scopo esclusivamente personale. Per adesso sto preferendo il vuoto assoluto che c’è in Calabria, spero mi serva per nutrire la creatività a forza di noia.


• Quanto pensi che sia stato difficile per te, come donna, muoverti nel mondo della fotografia, un settore che in Italia ancora oggi risulta dominato da una presenza maschile, e come hai affrontato le sfide legate a stereotipi di genere, accesso alle opportunità e riconoscimento del tuo lavoro?

Ammetto che non ho mai sentito una questione di genere, nella fotografia tanto quanto in altri ambiti. Non perché credo che non esista, affatto. Forse mi sembra talmente difficile fare l’artista in generale che difficoltà in più difficoltà in meno...rimane comunque qualcosa che in questo periodo storico sia una possibilità reale soltanto se nasci ricco. Ecco, questa mi sembra la discriminazione più forte in questo momento, non meno preoccupante. Facciamo qualcosa che oggi è molto legato al circolino, alle strette di mano, agli champagnini alle inaugurazioni. Qualcosa di talmente elitario che per accedervi devi farne già parte alla nascita.
Solo adesso, che vivo in un posto dove il costo della vita è un decimo di quello di Milano, forse posso provare a concentrarmi a fare quello della mia vita, alla soglia dei 40 anni. Ma non ho mai pensato che fosse possibile fino ad un anno fa: la mia attività artistica era incastrata tra le 50/60 ore di lavoro alla settimana, le lavatrici, la spesa, gli amici e le ore di sonno.


• Che rapporto hai con il femminile e come vivi le sovrastrutture sociali legate al tuo genere? Quanto la fotografia e la tua arte ti ha aiutata nel processo di accettazione o messa in discussione di queste sovrastrutture?

Ho sempre avuto un rapporto direi pessimo con il mio femminile. Genitori terrorizzati dalla questione che tagliavano le gambe ad ogni tipo di esplicita dimostrazione di femminilità estetica e di contro una società iper ossessiva nei confronti di fisici ipertrofici e dai caratteri sessuali in maggiore evidenza possibile. Ancora adesso ne faccio i conti, mi sento di dire: che palle. La fotografia però è stata ed è tuttora un grande strumento di analisi e di affermazione. Mi ha dato la possibilità di recuperare un rapporto personale con il mio corpo, con la mia immagine e con l’idea di femminilità. E’ uno strumento gentile, dal quale non mi sento giudicata, che mi calma. A volte la percepisco come una figura materna che mi insegna a volermi bene.

• Nelle tue fotografie compare molto spesso la natura, come se fosse uno specchio dell’esistenza umana. È interessante pensare che, più che un riflesso, questo specchio possa essere 'uno specchio delle brame' con cui dialogare e a cui chiedere. Cosa può insegnarci la natura? Cosa ti ha insegnato e in che modo ha influito sulla tua arte?

La natura ha un potere calmante immenso. Intanto perché è indiscutibilmente sopra di noi, sopra i nostri capricci, sopra i nostri gusti estetici che cambiano come gira il vento, sopra le nostre manie di controllo. Ci dovrebbe far sentire ridicoli nella nostra ossessione di comando. Uno dei motivi per cui credo di essermi trasferita in Calabria è la vicinanza con la natura. Il mare da una parte, la montagna dall’altra, mi stanno ridimensionando le ansie da prestazione che mi erano venute a Milano. Quando ho iniziato ad inserire elementi botanici nei miei autoritratti non avevo una motivazione chiara per farlo, sentivo solo che mi calmava, che - anche in quel caso- ci fosse una presenza materna che mi aiutava a ricongiungermi con la mia immagine che tanto avevo detestato in passato.

• Qual è il significato emotivo e concettuale che cerchi di esprimere attraverso l'uso della lunga esposizione o sovraesposizione nella tua fotografia? Come questa tecnica ti permette di catturare il tempo e la trasformazione in modi che sfuggono alla percezione immediata dell'occhio umano?


Il punto è che mentre sentivo il bisogno di fotografarmi, anche per scoprire quella sana parte egocentrica che è in ognuno di noi, che è sano avere e che serve per costruire una sana autostima, avevo bisogno di dire anche altro di me. La pura immagine di me stessa mi dava un po’ fastidio: era solo un corpo, o una faccia, ma cosa volevo raccontare di me? Volevo raccontare in prima persona chi sono, cosa penso, quali sono le domande alle quali volevo rispondere e che arrivassero a generici altri. Le mie fotografie vorrei fossero un racconto emotivo complesso, vorrei evitare di stare in dei canoni comunicativi (rappresentare la rabbia con me che urlo, per esempio). Vorrei che fosse tutto più sottile, più personale, ma che allo stesso tempo ci si possa riconoscere.


• Mi piacerebbe che formulassi una domanda. Questa domanda verrà posta alla persona che sarà intervistata dopo di te, per creare un legame invisibile tra tutte le interviste e le storie.

“In che modo sei stata supportata dalle donne della tua famiglia? Hai mai sentito una complicità femminile che ti ha aiutato ad allargare le tue spalle?”

Nasco nel 1985 a Reggio Calabria, metà famiglia di Gerace e metà di Messina. Infanzia sullo Stretto, adolescenza a Brescia, università a Parma, adesso vivo a Milano. Inizio a fotografare a vent’anni scoprendo poi che la fotografia è il mio mezzo per indagare e sistemare la mia storia personale. Mi concentro sull’autoritratto, lavorando sulle sovrapposizioni e gli strati di fotografie che tengono uniti pezzi della mia storia e di quella della mia famiglia, dei miei luoghi di origine e delle persone che ne hanno fatto parte. Uso le mappe, pezzi di fotografie satellitari, screenshot di Google Street View, tutti gli strumenti che uso per tornare virtualmente dove sono nata e dove sento di aver lasciato un pezzo. Continuo a spargerne in giro ogni volta che decido di cambiare casa e città. Mi muovo iperattiva e la fotografia tiene insieme tutti i pezzi.
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Nasco nel 1985 a Reggio Calabria, metà famiglia di Gerace e metà di Messina. Infanzia sullo Stretto, adolescenza a Brescia, università a Parma, adesso vivo a Milano. Inizio a fotografare a vent’anni scoprendo poi che la fotografia è il mio mezzo per indagare e sistemare la mia storia personale. Mi concentro sull’autoritratto, lavorando sulle sovrapposizioni e gli strati di fotografie che tengono uniti pezzi della mia storia e di quella della mia famiglia, dei miei luoghi di origine e delle persone che ne hanno fatto parte. Uso le mappe, pezzi di fotografie satellitari, screenshot di Google Street View, tutti gli strumenti che uso per tornare virtualmente dove sono nata e dove sento di aver lasciato un pezzo. Continuo a spargerne in giro ogni volta che decido di cambiare casa e città. Mi muovo iperattiva e la fotografia tiene insieme tutti i pezzi.
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