LINDA MAURI
BENVENUTE in ABITARE IL CENTRO, una sezione di interviste in cui parlano in sorellanza persone che hanno fatto dell'arte fotografica - e non solo - il loro medium creativo.
Noi siamo Angelica Intini, Savior Lunastorta e Tommasina Giuliasi e oggi, con tutte noi, abiterà il centro LINDA MAURI, una giovane artista che ha eletto lo scomodo e l'inusuale a cifra stilistica, esplorando attraverso di essi le profondità più recondite dell'esperienza umana.
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• La fotografia, in relazione alla performance artistica, è uno strumento che documenta l'azione; noi crediamo che possa non solo documentarla, ma in specifici casi amplificare l'impatto della perfomance stessa. Tu sei una fotografa e una performance artist, come vivono e dialogano questi due linguaggi in te? Sono due facce della stessa medaglia?
In primo luogo, nonostante utilizzi entrambi i mezzi nella mia pratica e capisca, quindi, come queste due definizioni possano avere senso per descrivermi, non sento i termini fotografa o performance artist pienamente calzanti e preferisco considerarmi, più in estensione, un'artista, soprattutto perché, nella mia pratica, la scelta del linguaggio è in funzione dell'idea e della modalità più adatta per realizzarla.
Singolarmente, mi approccio in modo diverso quando lavoro attraverso la fotografia o il mezzo performativo: mi capita spesso di scattare seguendo un impulso o un’attrazione per qualcosa e di elaborare lo scheletro del progetto solo in seguito, mentre lavori realizzati attraverso altre forme linguistiche, tra cui la performance, nascono a partire da immagini che assemblo e metto a fuoco prima nella mente ed hanno subìto una fase di decantazione.
Sto cercando un equilibrio nella dimensione in cui scatto e azione performativa si incontrano, perché la prima non viva in funzione dell'altra come sua documentazione, ma entrambe formino immagini autonome, seppur legate; a questo scopo, per me è un grande riferimento la pratica di Gina Pane, che credo essere l'esempio più chiaro di come la fotografia possa potenzialmente amplificare l'impatto dell'atto performativo per via del suo studio delle azioni, sia nella parte performativa che nella pianificazione fotografica.
Penso, più in generale, che nel mio lavoro sia presente una componente performativa anche nell'utilizzo di altri linguaggi e che sia, quindi, un ulteriore punto di dialogo con il mezzo fotografico, in cui lo scatto può funzionare come impressione e narrazione di un rito.
• Nelle tue performance e nella tua fotografia, usi alimenti che riproponi come simboli o veicoli di messaggi complessi. La rappresentazione del cibo è da te utilizzata per esplorare temi come la corporeità e la relazione tra l'interno e l'esterno del corpo umano. Qual è l'obiettivo del tuo fare artistico e cosa speri di attivare nella persona spettatrice?
Mi considero un individuo alla costante ricerca del senso delle cose, considerando il termine senso nella sua definizione più ampia. Una volta una persona mi ha detto, vedendo quelle che erano al tempo prime e ingenue sperimentazioni fotografiche, che possiedo la capacità di rendere le cose disgustose, ed effettivamente è ciò che si può ritrovare nel mio lavoro, ovvero una sensazione diffusa di dis-agio. Obiettivo primario della mia pratica è servire qualcosa che sia scomodo e provochi uno spostamento o una messa in discussione, non solo attraverso la forma ma anche nei contenuti, e in questo il cibo risulta essere un elemento efficace, sia per la sua organicità, che può generare un'oscillazione tra attrazione e repulsione, sia per il suo carattere simbolico, storico o le sue proprietà; l'utilizzo di un elemento rispetto ad altri è una scelta che tiene in considerazione le sue caratteristiche e la compatibilità con l'idea. Gli alimenti sono mezzo di contatto tra l'esterno e l'interno, sia corporeo che sociale, e questo loro varcare soglie li rende ponti di accesso alle profondità di un argomento, alle sue viscere; la scelta di inserire un determinato cibo in un progetto artistico racchiude una serie di codici nascosti che riguardano l'impatto e l'importanza che esso ha avuto sulle vite di altri individui. In generale, il rito del pasto contamina il modo in cui attraverso la realtà e mi esprimo; spesso, parlando dei processi della mia pratica, utilizzo termini che coincidono con la dimensione alimentare, come il fermentare e il decantare delle idee, o ripropongo piccoli gesti ossessivi legati al mangiare in alcuni lavori, trovando in loro una valenza simbolica ed evocativa.
• Chiacchierando, abbiamo piacevolmente scoperto che hai abbracciato il femminismo e l'antispecismo. Come questa filosofia ha rivoluzionato il tuo modo di stare al mondo e la tua arte? Secondo te, può esistere un femminismo intersezionale senza antispecismo?
Negli anni ho cercato il più possibile di tenere in considerazione le altre persone nella forma in cui abito il mondo, seppur con limiti di conoscenze e di sguardo, perché credo fermamente in una modalità di esistenza che si esprime nella collettività e, in questo, considero l’essermi avvicinata al femminismo intersezionale come sua naturale estensione.
Prendendo coscienza delle varie dinamiche di potere, alle quali siamo sottoposte e che assorbiamo come persone, un successivo e necessario prolungamento dello sguardo di cura, individuato attraverso il femminismo, non poteva che trovare spazio nell’antispecismo: passaggio successivo che considera, tra le varie forme di oppressione, anche quella perpetrata ai danni degli animali non umani.
Credo che non possano esistere realmente liberazione e rivoluzione senza considerare anche il destino degli individui appartenenti alle altre specie e che, quindi, un femminismo intersezionale, tra i cui valori non compaia anche un pensiero antispecista, sia parziale; ciò che intendo si può ritrovare nella figura di Eboshi in Principessa Mononoke, film d’animazione scritto e diretto da Hayao Miyazaki, il cui personaggio, da un lato, si impegna nell’emancipare la figura femminile e includere i soggetti più fragili nella Città di Ferro, ma al tempo stesso opprime gli altri individui e provoca distruzione per profitto.
I pensieri citati precedentemente mi hanno dato modo di riflettere, e continuano a farlo, sull’impatto delle scelte che compio e le mie responsabilità nel comunicare in un modo che sia il più possibile sensibile agli altri individui, tanto nella dimensione creativa quanto nella quotidianità.
Nella pratica artistica è diventato per me un punto nevralgico non contribuire a spargimenti di sangue, perché nel mondo ne è stato versato fin troppo, in passato e tuttora. Dunque, nel scegliere quali materiali selezionare per i miei lavori, mi impegno il più possibile, sicuramente talvolta sbagliando o in modo ancora troppo superficiale, a valutare le implicazioni dell’utilizzo di un elemento piuttosto che di un altro; esempio di questo tentativo è la scelta di adoperare alimenti solo di origine vegetale e il più possibile stagionali nella realizzazione dei lavori, per rispettare sia il pianeta che le specie che lo abitano.
Sono innamorata di tutta l’arte che esplora e pone attenzione sulle questioni della contemporaneità, come nella pratica di Regina José Galindo, che ha messo in luce più volte problematicità sistemiche; vorrei riuscire a integrare maggiormente all’interno della mia pratica tutte le tematiche che mi animano… è un obiettivo che mi pongo per il prossimo futuro.
• Nel mondo dell'arte, sono riproposte le stesse dinamiche del mondo umano in larga scala: il successo dipende dalla visibilità e dal riconoscimento altrui; senza il riconoscimento si fa fatica a sentirsi all'altezza. Come vivi in un contesto così competitivo? Hai riscontrato queste dinamiche anche durante la tua esperienza accademica?
Come persona, scopro continuamente di aver bisogno di più tempo rispetto a quello che la norma definirebbe come sufficiente per svolgere molte azioni anche basilari, come mangiare, rispondere a domande semplici o leggere poche righe di un testo; queste dilatazioni temporali si applicano anche alla mia ricerca e pratica artistica e sono quindi incompatibili con le richieste di performatività, produttività e le aspettative del circuito. Sicuramente, trovarsi in un mondo la cui narrazione dominante parla del successo come di qualcosa a cui ambire e determinato da parametri di vendibilità, per cui lo spazio è sempre limitato a pochi posti, è complesso e può condizionare il modo in cui vedere altre persone abitanti la stessa dimensione, provocando rivalità per ottenere un piccolo spazio... tuttavia, ho deciso di attraversare il mio percorso artistico e di vita in completa sincerità, cercando il più possibile di seguire una strada che possa sentire calzante rispetto a ciò che voglio essere, senza inseguire quello che viene definito a priori "da raggiungere".
L'accademia è un sistema che si struttura seguendo in parte le dinamiche che vengono proposte all'esterno, ed è capitato, durante gli anni di studio, che percepissi una tendenza ad alimentare la competizione tra artisti; personalmente non riesco e non voglio vedere la pratica di altre persone come qualcosa che possa nuocere al mio percorso e credo invece sia incredibilmente prezioso potersi confrontare sulle rispettive ricerche per considerare nuovi sguardi e trovare soluzioni diverse.
Ho avuto la fortuna di incontrare compagne con cui condividere idee, spunti di riflessione e informazioni di vario tipo che potessero arricchire il proprio percorso; il dettaglio forse più stimolante è scoprire testi, studi o materiali che potrebbero interessare la pratica di altre e condividerli per il semplice piacere di vedere il loro lavoro ampliarsi e progredire.
Credo in un approccio artistico impegnato nel formare una rete di sorellanza, dove l'aiuto e la condivisione siano fondamenta e si possa essere autenticamente felici dei traguardi del percorso di altre; mi piace pensare di aver costruito legami con questo genere di cura e rimango tuttora incredula della bellezza di alcuni rapporti che si sono venuti a creare sia in passato che più recentemente.
• Fare arte ti ha cambiata ? (Barbara Cannizzaro)
Non ho mai percepito il linguaggio verbale come funzionale per me e ho sempre faticato a vivere i rapporti sociali per via di questa difficoltà comunicativa, fonte di disagio e frustrazione; attraverso la costruzione di immagini sento di essere in espressione e di riuscire a raggiungere le altre persone in modo efficace. Fare arte per me è il solo modo per respirare, mentre il resto del tempo coincide con una lunga apnea, e so di poter suonare fin troppo romantica, ma l’unico momento in cui sento realmente di esistere è nel processo di realizzazione di idee e immagini. Studiare arte e costruire una personale ricerca e pratica artistica mi ha aiutata a crescere, e continua a farlo, ma soprattutto mi ha animata e radicata; credo che l’arte permetta di inabissarsi nella realtà e metterne quindi a fuoco le problematicità più calcificate.
• Ci piacerebbe che formulassi una domanda. Questa domanda verrà posta ad un' altra persona che sarà intervistata, per creare un legame invisibile fra tutte le interviste e tutte le storie.
Nella tua indagine e pratica artistica, se presente, quanto e in che modo si inserisce uno sguardo di cura verso altri individui, appartenenti a categorie e specie diverse?